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IL MONDO CHE IO VORREI

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Il Papa : “Abortire non è giusto, è come affittare un sicario”

13 sabato Ott 2018

Posted by Guido Guidotti in Diritti Umani

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Se un figlio, frutto d’un atto d’amore, è una cosa meravigliosa, tanto meravigliosa che molti genitori darebbero la stessa propria vita anche per uno solo dei propri figli, non si capisce come talvolta quella stessa creatura possa diventare un nemico, un colpevole di così tanta colpa da meritare la morte. Una creatura così innocente che nessuno dovrebbe neanche azzardare il pensiero di fargli del male. Solo un criminale potrebbe tanto.

Ma le scuse per arrivare a tanto, ormai si sprecano. E c’è un perché neanche tanto nascosto. Dietro all’aborto, oltre alle bugie trasformate in diritti, c’è un’industria che ne beneficia. Infatti come ti muovi c’è sempre qualcuno che pensa come approfittare della situazione. Ad esempio i medici chirurghi, obiettori nell’Ospedale pubblico, ma pronti a tutto nella clinica privata. O i feti che finiscono a far parte degli ingredienti della cosmesi di lusso.

È facile scorrere i commenti degli utenti di facebook o di altri media che riportano questo intervento del Papa, per accorgersi di come ricalchino la superficialità e la contaminazione di decenni di violenza al diritto dei più deboli. Si sa che la storia è scritta sempre dai vincitori ed anche in questo caso, replicato purtroppo in tanti Paesi, sono i vincitori a scrivere le leggi e ad affermare un diritto negato ai più deboli ed agli innocenti.

Ho sempre pensato che essere innovatore o progressista sia schierarsi a fianco dei più deboli e riconoscere i loro diritti. Per esempio gli immigrati, gli incomodi,gli scarti di oggi fatti morire nel mar Mediterraneo o nelle carceri libiche senza scomodare le coscienze dei benpensanti. I ragazzi difficili che la scuola emargina e colpevolizza creandone dei disadattati o dei delinquenti. Ed anche i bimbi non accolti dai propri genitori e scartati come un rifiuto neppure degno di una vita in adozione.

Io ho conosciuto una collega che mi ha confessato che tempo prima aveva abortito perché i medici gli avevano detto che c’era il tre per cento di probabilità che il suo bambino nascesse con una malformazione. Lei e suo marito si sono sentiti autorizzati ad eliminare un bambino desiderato, amato e, per il novantasette per cento, perfettamente sano, solo per uno scrupolo ! Nessuno può garantire a nessuno che suo figlio non si ammali gravemente, che non abbia un grave incidente o che non si droghi. I rischi sono, purtroppo, seriamente molto più alti di un modesto tre per cento !!! La collega, riflettendo, ha poi abbandonato le sue paure tornando a cercare la maternità e dando poi alla luce un bellissimo maschietto. Ma purtroppo il suo fratellino maggiore è rimasto solo un angioletto che lo veglia da lassù.

Anche nel caso estremo dello stupro, l’aborto è un omicidio. Uno può anche strapparsi le vesti per lo scandalo o la bestemmia, ma se l’analisi è senza pregiudizi e sinceramente finalizzata a ricercare il diritto del più debole, c’è da ricredersi. Il bambino frutto di uno stupro è sicuramente una vittima innocente come la madre. Innocente perché non è responsabile di alcuna colpa e vittima perché privato di un padre di cui avrebbe diritto. Probabilmente vittima anche perché privato di un po’ dell’amore della madre che ricorderà con amarezza e dolore il momento del suo concepimento. La madre dovrebbe essere solidale, comprendere e difendere un figlio che è una vittima come lei. Ma se non ce la fa, la madre non è costretta a crescere un figlio che non riesce ad amare pienamente perché frutto di uno stupro. C’è anche adesso la possibilità di non riconoscere un figlio senza sopprimerlo.

Elogio quindi Papa Bergoglio che finalmente dice una parola giusta e chiara sull’aborto: «Ma come può essere terapeutico, civile, o semplicemente umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare? È’ come affittare un sicario». Colpevoli invece coloro che, religiosi o uomini di cultura, per anni hanno taciuto, lasciando parlare chi strumentalizzava la vita a proprio tornaconto. Poi sono restio a dichiarare la sofferenza come un dono. La sofferenza, soprattutto quando evitabile, è innanzitutto un crimine ed una grave responsabilità per chi l’ha provocata direttamente o indirettamente. Spesso tumori e malattie non sono uno scherzo di cattivo gusto del Padre creatore, ma il risultato di gravissimi comportamenti umani come per esempio inquinare la natura, fiumi, mari, aria e terreni.

È criminale anche chi ha responsabilità nel campo della salute e non agisce per il bene delle persone, ma per la carriera o il proprio profitto. Non veliamo di soprannaturale colpe umane che non meritano queste giustificazioni. Il Vangelo è innanzitutto “la Buona Novella”, non l’introduzione ad un cammino di martirio e di croce.

2018, veri Partigiani

12 giovedì Lug 2018

Posted by Guido Guidotti in Diritti Umani, Migranti

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Sul tema migranti il 90 % dei commenti degli internauti sono contro l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati. Commenti quasi xenofobi, chiaramente razzisti.

Preoccupante la deriva demenziale e razzista che si sta diffondendo sempre più spavalda ed aggressiva. Un fenomeno in espansione che non è da trascurare. Pertanto l’iniziativa delle magliette rosse ha avuto il pregio di visualizzare quella grande parte d’Italia che rimane silenziosa, ma che in cuor suo dissente da questa deriva di intolleranza verso l’altro, il povero, il nero, l’immigrato.

Mai ricevute tante attenzioni dal web: forse è paura che ad argomentare civilmente, portando critiche e soluzioni vere, s’arrivi ad incrinare quel mondo violento, intollerante, ignorante e stupido che si sta affermando sul web e nelle pieghe delle coscienze d’Europa?

Intanto su facebook ricevo questo tipo di violenze verbali: “Caro Il mondo che io vorrei, hai proprio rotto le palle !! Il mondo che vorresti vattelo a costruire in Africa, vai a fare volontariato li o vai a fare il missionario, senza pretendere di portare l’Africa in Italia !! L’Italia e’ degli italiani e come dice Salvini l’Africa in Italia non ci sta CHIAROOO !! Non abbiamo le risorse ne lo spazio per mantenere centinaia di milioni di africani !! In Africa al contrario dell’Italia lo spazio non manca, levati dalle palle e vai li a costruire il mondo che vorresti e cerca di portarti dietro altri antitaliani e traditori come te, che vorrebbero trasformare il nostro bel paese in una succursale dell’Africa !! Gli italiani come te andrebbero sbattuti fuori dall’Italia a calci nel sedere !!”

Per me sei anche tu, caro commentatore, una vittima del sistema che grida “Al lupo, al Lupo” per distrarre la gente dai problemi veri. In Europa il fenomeno migratorio incide per lo 0,17% della popolazione europea: ti pare che possa essere un problema reale? Semmai dovremmo parlare dei femminicidi che solo in Italia ce ne è uno ogni due giorni. Ma, fammi capire: tu che sei così incazzato con gli africani, se loro se ne stanno in Africa, a te ti si riempie il frigo?

Su facebook un video provocatorio visualizzava un ragazzo con lineamenti e vesti arabe che chiedeva gentilmente il permesso di introdurre i numeri arabi in Europa. Le risposte selezionate erano per l’indisponibilità totale ad accogliere la richiesta: “vai al paese tuo ad usare i numeri arabi! Qui usiamo i nostri numeri… ”. Ecco il razzista italiano: arrogante, prepotente, egoista, rozzo e asociale. Dimenticavo, anche volutamente ignorante e probabilmente sfegatato leghista.

siamo i vostri fratelli, ci fu chiesta la vitaEcco io penso che sono questi italioti che non dovrebbero avere la cittadinanza italiana. Non chi viene da lontano e magari è pure sfruttato dalla mafia italiana per la raccolta di pomodori, olive, aranci, uva, mele, ecc…, ma chi è lontano dalla mentalità civile, ospitale, laboriosa e solidale dell’Italia. È per questo paese, per la sua libertà, per la sua sicurezza, per la sua pace, per la sua serenità, per i suoi diritti, per i suoi valori, che tanti giovani durante il 2° conflitto mondiale hanno offerto la vita e successivamente anche tanti magistrati, giornalisti e sacerdoti hanno fatto altrettanto. Non un’elemosina, non un bel gesto, ma tutto quanto perché per loro aveva senso vivere solo pensando ad un futuro di pace, giustizia e libertà. Speranze e scelte che meritano il nostro rispetto, non l’offesa di sentire commenti e dichiarazioni che riportano la memoria a tempi bui, di paura, privazioni e ingiustizie.

Il razzista chiuso a difendere egoisticamente i pochi privilegi che ritiene gli siano dovuti, non fa parte del sogno di quegli eroi italiani. È un incubo che non hanno previsto e che certamente li amareggia infinitamente: “Se noi abbiamo dato la vita, voi almeno difendete la purezza del sogno. Lottate perché l’ingiustizia non prevalga, l’impegno di ciascuno possa costruire una società migliore, non chiusa in se stessa ma solare, aperta, gioiosa e libera”.

Pertanto credo che una società avanzata debba interessarsi alla qualità dell’educazione dei suoi cittadini. Vorrei che educasse il cittadino che non gli è tutto dovuto, che i diritti non si acquisiscono come privilegi, ma si conquistano rispettando i propri doveri e rispettando il prossimo come se stesso. Cittadinanza non deve voler dire solamente che sei nato in Italia da genitori italiani. Cittadinanza dovrebbe dire che conosci e rispetti i valori che legano i cittadini creando di essi un unico popolo.

Chi non rispetta questi valori, chi delinque, chi truffa, chi evade, chi non rispetta le regole, chi tenta di fare il furbo, chi mette a rischio la convivenza, la salute, la pace, la giustizia, la tolleranza, il futuro, è di fatto senza i valori del buon cittadino, quindi senza “cittadinanza morale”. Pertanto, in seguito ad una condanna definitiva relativa ad un significativo difetto di cittadinanza, gli dovrebbe essere riconosciuto nei documenti questo stato di apolide fin tanto che non abbia scontato la pena. Inoltre non dovrebbe riacquistare la cittadinanza a pieno titolo prima di aver mostrato pentimento e conversione e non prima di aver rimediato ai danni provocati dai suoi comportamenti al Paese ed ai suoi cittadini. Di tanta burocrazia inutile che abbiamo, questa idea potrebbe essere utile a formare un tessuto sociale più cosciente e rispettoso dei diritti e dei doveri del cittadino.

Chi poi non rispetta le regole perché ritiene che siano ingiuste, può fare obiezione di coscienza facendone una battaglia ideale che può essere individuale come di più persone. Chi fa obiezione di coscienza deve accettare le conseguenze delle sue scelte. Lo Stato dovrà comunque prevedere provvedimenti giusti, moderati e non esagerati poiché anche lo Stato potrebbe sbagliare e magari correggersi successivamente come è successo tante volte nella storia dell’umanità.

Paradossale che lo straniero solo perché senza documenti, solo perché senza un pezzetto di carta , sia considerato un clandestino. Un paese avanzato dovrebbe dare a tutti un documento regolare, alloggio, protezione sanitaria e lavoro. Costa troppo? No, basta evitare sprechi, privilegi e cattive gestioni che ci sarebbe da vivere dignitosamente per tutti. Poi eliminando il disagio e monitorando il lavoro di ogni persona. Ci sarebbe un controllo totale sulla malavita che si sa, muove miliardi. “Perché tu non hai un lavoro? Lo vuoi? Te lo diamo! Come mai se non lavori, hai una casa, paghi le bollette, mantieni l’auto… dove prendi i soldi?” Ma se nessuno sa dove abiti, né che lavoro fai, puoi fare il mantenuto, il fannullone, ma anche il mafioso, lo spacciatore o il trafficante. Non c’è controllo.

Un po’ complicato, sì, ma varrebbe la pena pensarci.

Partigiano letteralmente significa “di parte”, ovvero persona schierata con una delle parti in causa. « (…) La guerra di parte, è la più antica, la più naturale e la sola che sia sempre giusta. Essa è quella del debole contra il forte (…) » Cit. in La Minerva Napolitana,

La schiavitù dell’esodo

15 martedì Ago 2017

Posted by Guido Guidotti in Diritti Umani

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Capitolo 3° –  Promemoria: noi italiani vantiamo il primato mondiale di migranti (24 milioni).

È mentalità comune che noi europei, bontà nostra, accogliamo e soccorriamo come benefattori  i migranti e profughi dell’Africa. Ma non è propriamente così. I conti vanno fatti per intero e non si possono dimenticare o annullare solo perché sono vecchi. Ed il debito morale che abbiamo accumulato verso il popolo africano è enorme, forse impagabile. Un debito enorme perchè ha portato non migliaia, ma milioni di persone ad essere schiavizzati. E se, come ci insegnano le banche ed i professori di economia, i debiti vanno pagati, noi europei dovremmo saldare (anche accettando un classico “Saldo e stralcio”), oltre al debito morale con scuse allegate, il debito economico dovuto alla schiavizzazione forzata di milioni di africani.

Un debito che ogni giorno purtroppo continua a crescere, perché ancora oggi le responsabilità di questo esodo sono tutte dell’ occidente. Perciò è un furto umano che va interrotto non chiudendo le frontiere, ma invertendo quelle scelte che sono la causa dell’esodo. Fare barriere e contrastare la migrazione dei popoli è assurdo come chiudere le porte di un edificio che sta prendendo fuoco. Perciò particolarmente i credenti devono gridare al mondo con forza: ”Libertà agli schiavi e a tutti gli esseri umani schiavizzati!” Una nuova ondata di misericordia nella vecchia Europa deve accogliere i “naufraghi dello sviluppo”. Le chiese devono aprire i loro battenti per accogliere la ‘carne di Cristo’! E sia per tutti come un nuovo e duraturo Giubileo.

L’Africa è un continente immenso, pieno di bellezze e risorse naturali, ma da tanti anni sta soffrendo molto a causa della destabilizzazione politica voluta e mantenuta dai poteri forti, dalle guerre, dal terrorismo ed infine dalle particolari condizioni climatiche. Milioni di persone in questo preciso momento stanno morendo di fame e per malattie curabili. I cittadini delle nazioni che fanno parte della martoriata regione del corno d’Africa, la più colpita dalla carestia, si spostano continuamente per cercare qualcosa da mangiare e condizioni di vita migliori e questo scatena molto spesso l’odio tra gruppi etnici che sfocia in vere e proprie guerre con migliaia di vittime civili.

Coloro che per sfuggire alla fame cercano di passare la frontiera con le nazioni confinanti spesso sono fermati e rimandati indietro e i pochi che sono accolti vengono trasportati in campi profughi in cui manca tutto e le condizioni di vita sono al limite della sopportazione umana. Nel Sud Sudan, in guerra dal dicembre 2013, scontri continui, violenze, battaglie, razzie, incendi, distruzioni, stragi hanno costretto migliaia di contadini ad abbandonare le terre e i villaggi. Si calcola che almeno 2,5 milioni di persone vivano nei campi profughi o siano fuggite oltre confine.La disperazione della popolazione in preda alla fame inevitabilmente ha fatto precipitare l’intera regione nel caos e nel disordine sociale.

Per colpa delle guerre alimentate dalle armi vendute ai Paesi africani dai Paesi ricchi, da tre anni non si fanno più le semine e quindi non ci sono raccolti: secondo gli ultimi rapporti dell’Onu, sono a rischio carestia circa 4,5 milioni di uomini e donne, in particolare i bambini e gli anziani. Ovvero: la sopravvivenza della maggioranza della popolazione dipende dagli aiuti internazionali, che però faticano ad arrivare. Il conflitto in corso intanto non concede tregua e sta assumendo sempre di più la ferocia di una pulizia etnica, con massacri mirati in base alla tribù di appartenenza. Le varie etnie si combattono tra loro per avere accesso alle pochissime risorse rimaste.  Siamo ormai arrivati al punto in cui l’acqua è diventata talmente preziosa da scatenare intensi conflitti per il controllo delle fonti.

Eppure anche per i profughi che fuggono da questo orrore, l’accesso all’Europa è tutt’altro che semplice. Anzi ora, con il nuovo accordo Italia-Libia e il programma di respingimento deciso a Malta dai capi di stato dell’Unione Europea, sarà ancora più complicato imbarcarsi per tentare di raggiungere l’Italia. E’ proprio qui il punto: anziché istituire canali umanitari per questi milioni di disperati, si costruiscono muri e si organizzano retate e voli charter per il rimpatrio forzato, anche verso realtà di crisi estrema. Prevale più che mai, in Italia e in Europa, una politica di chiusura totale, sempre più stretta, anche di fronte a una catastrofe umanitaria, in Africa, che si profila persino più grave di quella della terribile carestia del 2010/2011.

Canali umanitari di ampio respiro significa staccarsi da quella politica miope che guarda ai problemi del Paese con l’obiettivo primario di guadagnare voti alle prossime elezioni. Canali umanitari significa programmare il futuro con lo sguardo di chi pensa ad un mondo migliore, senza frontiere non solo per le merci, ma anche per le persone. Dove la diversità sia un valore e lo spostarsi come il viaggiare sia un diritto per tutti e non l’unica possibilità per la sopravvivenza. Siamo noi italiani il maggior paese migratore. Impariamo ora ad accogliere e ad integrare lo straniero affinchè non si senta più straniero. Quando si sentirà integrato sarà una risorsa che ci permetterà di crescere come economia e come civiltà.

Accogliamo e integriamo. Quanto manca all’Italia per essere un Paese migliore! Possono aiutarci ed esserci di sprono gli immigrati. Prima di tutto basta con il ricatto disumano della clandestinità. Nessuno è clandestino, tutti ospiti di un’unica terra, da amare e da rispettare. Clandestini sono piuttosto coloro che non rispettano la terra, l’ambiente, la comunità di persone ed ogni individuo. Ovvero chi delinque. Tutti coloro che sono incensurati debbono avere subito tutti i documenti necessari all’accesso al lavoro, casa, sanità, scuola, servizi sociali, ecc. Se l’Italia è un Paese con tanti limiti, con tante carenze, quelle di cui tutti si lamentano, vuol dire che il lavoro non manca. Mancano semmai i soldi per retribuire i lavoratori. Ottimizziamo allora i pochi strumenti di cui possiamo disporre. Creiamo un “lavoro sociale” retribuito con buoni locali per pagare i servizi come affitto, utenze, trasporti, sanità e istruzione.

Ma invece che costruire opportunità, preferiamo trovare un colpevole da accusare. Così ci sentiamo rassicurati ed impegnati a dargli addosso ad ogni occasione. Ma non si risolvono così i problemi. Prima i colpevoli di turno erano gli scafisti, poi è toccato alle ONG, domani il colpevole sarà qualcun altro. Ma state certi che arriverà anche il giorno in cui colpevolizzeranno anche noi, e ben ci starà.

Il tema che si ripete quotidianamente su tutti i giornali e telegiornali è: “guerra agli scafisti che lucrano sulla disperazione dei migranti”. Indubbio che gli scafisti sono spesso delinquenti senza cuore. Ma se un viaggio dalla Nigeria a Palermo costa appena 450 euro, è responsabilità degli scafisti se agli africani incensurati, sani, giovani, istruiti e di buone speranze, è negato un accesso regolare? Togliere di mezzo gli scafisti è questione di scelte politiche. Abbiamo 7.000 militari italiani in 30 missioni internazionali. E normalmente non stiamo permanentemente su navi o aerei. Stiamo sulla terra ferma. Perché non possiamo mettere piede in nord Africa con una missione umanitaria. Programmando una seria collaborazione con le ONG più sensibili ed impegnate a soccorrere e tutelare i diritti umani dei migranti. Perché non possiamo appoggiarci alla Tunisia che è il Paese più vicino all’Italia. Con la Tunisia non dovrebbe essere difficile trovare un accordo, piuttosto che nel caos libico. Comunque sempre meglio anche in Libia, che in mezzo al Mar Mediterraneo. Non programmare questo significa sperare che piuttosto che in Italia, i migranti finiscano in fondo al mare. Ognuno di noi, secondo quanto averebbe potuto fare, per ogni vittima innocente, ne porterà per sempre il peso e la responsabilità.

Intanto l’unico orgoglio umano che possiamo vantare è quello del servizio di soccorso delle 14 navi delle ONG che salvano da morte certa, migliaia e migliaia di migranti nel mediterraneo. ONG che invece di essere supportate e stimate, sono sotto accusa per presunti contatti con scafisti. Ma che crimine è parlare con gli scafisti? Immaginiamo la telefonata fra una ONG e gli scafisti: “Pronto, sono uno scafista, abbiamo centocinquanta persone in difficoltà su un gommone…” La ONG: “Ci spiace, ma non possiamo parlare con gli scafisti. Non insistete, sappiamo benissimo che se non interveniamo potrebbero finire tutti ammare. Ma così sono le regole. Si, si, lo sappiamo che sono regole sbagliate, ma che ci possiamo fare noi. Non siamo noi a fare le regole. Noi dobbiamo starci dentro, e voi ne siete fuori. E non richiamate più a questo numero, grazie…”

Se c’è un fatto che non è criminoso, non lo diventa solo perché addebitabile ad un gruppo criminale. Se un noto criminale va in farmacia a comprare una medicina, il farmacista non può rifiutarsi di servirlo adducendo la scusa: “Non posso avere rapporti commerciali con un criminale.” È il fatto che non è criminoso, non la persona. Così il parlare con degli scafisti per soccorrere un barcone in difficoltà, non significa intrattenere rapporti con gli scafisti e quindi spartirsi eventuali utili. Se questo accadesse è tutto da provare. Anzi, ben vengano le telefonate fra ONG e scafisti quando servono strettamente per segnalare la posizione di un barcone in difficoltà e poter salvare un gruppo di persone da morte certa. Senza se e senza ma. Criticabile semmai è l’atteggiamento del Governo italiano che, pressato dalle opposizioni e da una opinione pubblica allarmata e spaventata da un’informazione smemorata e sostanzialmente carente, fa le pulci alle ONG e fa accordi regalando motovedette ad un Governo libico che incarcera e tortura i migranti solo per la colpa di voler scappare da guerre e miseria.

Ibrahim ha vent’anni ed è fuggito dal Mali a causa della guerra interna. Questa è la sua storia. Viene sequestrato da un gruppo armato per essere reclutato come combattente. Poiché rifiuta di imbracciare le armi viene sottoposto ad innumerevoli violenze e torture. Subisce anche l’amputazione del dito di una mano. Al momento della fuga viene colpito di striscio da due pallottole. Ibrahim raggiunge poi la Libia attraverso il Niger e il deserto del Tenerè, la via dell’inferno gestita dai trafficanti. In Libia lavora per qualche tempo senza essere pagato e successivamente viene arrestato e rinchiuso per 5 mesi in un carcere spaventosamente sovraffollato. Viene percosso quotidianamente e subisce violenza sessuale. Viene privato di cibo e acqua e vede vari compagni di cella morire di stenti. Riesce infine a fuggire e ad imbarcarsi per l’Italia.

Il viaggio attraverso il Mediterraneo è drammatico, il barcone è sovraccarico di persone e coloro che rimangono sotto muoiono schiacciati dal peso degli altri. All’arrivo in Italia, nell’hotspot di Pozzallo, viene sottoposto ad interrogatorio da parte della polizia che è alla ricerca degli scafisti. Effettua richiesta d’asilo e viene poi trasferito in un centro di accoglienza alla periferia di Roma. All’ingresso viene sottoposto ad una veloce visita medica. Dopo qualche tempo le ferite delle molteplici violenze subite si rimarginano lasciando delle cicatrici ben visibili. Persistono però i dolori, in particolare una cefalea persistente e dei dolori lombari in prossimità delle parti in cui veniva percosso in Libia.

Durante il giorno rimane spesso in uno stato di stordimento salvo poi allarmarsi e manifestare reazioni spropositate per situazioni insignificanti come lo sbattere di una porta. Nel centro viene visto come un soggetto difficile che già, in varie occasioni, si è scontrato verbalmente con altri ospiti e con gli operatori. Una sera Ibrahim esplode in una vera e propria crisi probabilmente provocata dal volume della radio troppo alto tenuto da altri ospiti del centro. Urla, getta a terra un computer. Spacca un vetro con un pugno ferendosi la mano. Viene portato al pronto soccorso e poiché i medici percepiscono intenzioni suicidarie, viene ricoverato nel reparto psichiatrico. Viene somministrata una terapia farmacologica sedante e il ragazzo viene dimesso dopo una decina di giorni.

L’arrivo in Italia di un crescente numero di migranti forzati, molti dei quali vittime di violenza o tortura nei paesi di origine o di transito, rende sempre più urgente garantire un efficiente sistema di accoglienza e un’adeguata assistenza medico-psicologica. Lo scorso anno sono stati 181mila i migranti sbarcati in Sicilia e nelle altre regioni dell’Italia del Sud, il numero più alto mai registrato. I morti e i dispersi nella traversata sono stati più di 4.500. La gran parte proviene dall’inferno dalla Libia e in misura minore, spesso in condizioni altrettanto drammatiche, dall’Egitto. E’ questa la vicenda umana che forse più sta segnando il nostro tempo e le cui conseguenze si riflettono sulla salute fisica e mentale di un’intera generazione di giovani africani; un viaggio in cui, come ha detto un testimone, “non sei più un essere umano”.

Se infatti tantissimi giovani dimostrano un’incredibile capacità di reazione ad un fardello di esperienze limite che, in molti casi, sfugge alla nostra stessa capacità di comprensione, è parimenti vero che molti di essi riportano una devastante lacerazione nel fisico e nell’anima. Questo comporta spesso un percorso terapeutico che sarebbe possibile evitare con adeguate strategie di prevenzione e di cura. Anche in assenza di esiti così gravi, la sofferenza psichica rappresenta in ogni caso un potente ostacolo ad ogni percorso di integrazione.

Integrazione che sembra essere l’ultima preoccupazione dei nostri politici che continuano ad ignorare il calvario quotidiano a cui sono costretti tutti gli immigrati dalla nostra ingegnosa burocrazia italiana. Anche quelli di lungo soggiorno, parzialmente integrati e con figli nati in Italia, pur essendo giovani, si ritrovano senza lavoro ai margini della società. Politici preoccupati solo di fermare il flusso senza curarsi a quale prezzo. Politici che non si fanno scrupolo di legittimare una marina libica che addirittura spara sui barconi di migranti, alle navi delle ONG e che pare coinvolta nella vendita dei migranti come schiavi a gruppi di trafficanti.

C’è anche la rediviva Guardia costiera libica nel mirino della Corte penale internazionale dell’Aja. L’ufficio del procuratore internazionale sta acquisendo documenti, filmati, testimonianze, rapporti d’intelligence che accusano i guardacoste di Tripoli, recentemente riforniti da mezzi navali italiani, di «crimini contro l’umanità». L’ultimo episodio acquisito nel fascicolo d’indagine è di giugno 2017, quando un pattugliatore libico aprì il fuoco, ad altezza d’uomo, contro un vecchio peschereccio carico di migranti. Nel corso della sparatoria, il natante della Guardia costiera di Tripoli, tentò di speronare la nave di una organizzazione umanitaria tedesca intervenuta per soccorrere i migranti.

C’è infatti il sospetto che marinai libici siano al soldo dei trafficanti di uomini e che, a vario titolo, siano parte della filiera delle deportazioni. I migranti “soccorsi” dai guardacoste vengono spesso riportati a terra e rinchiusi nei centri governativi all’interno dei quali si svolgono aste per la vendita dei malcapitati al mercato degli schiavi: bambini compresi. Notizie che arrivano proprio quando l’Europa si appresta a varare nuovi stanziamenti. Ad accusare le autorità libiche c’è anche uno studio del Goldsmiths College, autorevole dipartimento dell’Università di Londra, che ha condotto una ricerca secondo la quale le pratiche degli scafisti, e il conseguente aumento delle tariffe della traversata per i migranti, verrebbero influenzati proprio dai sempre più numerosi «interventi» della Guardia Costiera Libica, «i cui metodi violenti hanno portato, in alcune occasioni, al ribaltamento di barche, mettendo in pericolo la vita delle persone a bordo». Niente a che vedere con la volontà di salvare i migranti.

E guai se intorno ci sono testimoni scomodi. Lo sa bene la Guardia Costiera italiana: il 23 maggio scorso, in acque internazionali, contro la motovedetta italiana CP 288 è stata sparata almeno una raffica di mitra partita da una nave militare libica. Ufficialmente, si era trattato di un errore: i libici scambiarono gli italiani per dei trafficanti. Una spiegazione che nessuno ha bevuto sul serio. Anche perché nelle stesse ore, durante un intervento nel Mediterraneo, la Guardia costiera libica si era avvicinata a dei barconi in difficoltà. Anziché procedere ai soccorsi, l’equipaggio aveva minacciato i migranti, non prima di aver sparato colpi in aria scatenando il panico. L’episodio è stato denunciato e documentato con foto e filmati dalle ONG Medici Senza Frontiere e Sos Mediterranée. A causa del panico seminato dagli spari «oltre 60 persone – si legge in una nota acquisita dalla procura dell’Aja – sono finite in mare».

In quasi tutti i Paesi del corno d’Africa l’instabilità politica e una grande corruzione sono alla base di molti disordini sociali e proteste che vengono ogni volta represse in modo molto brutale dai rispettivi governi. Governi instabili e corrotti che non pensano al benessere della popolazione, ma solo al loro tornaconto personale. Così molti sono costretti ad abbandonare tutto per cercare una vita migliore in Europa. Tutto questo, unito alla carestia che sta flagellando la regione, aggrava anche il fenomeno migratorio perché aumenta sempre di più il numero di coloro che decidono di partire per lasciarsi alle spalle una vita di stenti e violenza.

L’aumento dei flussi migratori ha effetti a cascata anche in Occidente tra centri di accoglienza ormai al collasso e una difficilissima identificazione di coloro che ogni giorno sbarcano sulle nostre coste in cerca di fortuna. Il problema di come accogliere i profughi della carestia è enorme e gli sforzi dei governi dei Paesi industrializzati e delle organizzazioni non governative non bastano più ad arginare il fenomeno. Gli accordi stipulati con i Paesi del nord Africa da alcuni governi occidentali nel tentativo di contenere il fenomeno si sono rivelati inutili perché questi Paesi servono solo come imbarco per la traversata verso l’Europa e non sono i luoghi in cui ha davvero origine il fenomeno.

Per capire come e perché tante persone decidono di emigrare, infatti bisogna andare proprio nei Paesi del corno d’Africa in cui la carestia ha avuto inizio e continua tuttora. Nei casi di Somalia e Nigeria la carestia ha un ruolo di primo piano anche nell’espandersi di organizzazioni come Boko Haram e Al Shabaab legate al terrorismo internazionale e ritenute responsabili di crimini violenti e atrocità nei confronti di donne e bambini. Giovani affamati che non hanno niente da perdere e vedono il futuro come un enorme buco nero, facilmente cadono preda degli islamisti che, o li costringono a forza sequestrandoli ancora minorenni alla loro famiglia, o li convincono a diventare jihadisti con false promesse di una vita migliore.

La carestia (ma anche i piani di aggiustamento strutturale della Banca Mondiale e del FMI) ha tolto a questi giovani anche la possibilità di andare a scuola e ricevere una educazione appropriata. Secondo le Nazioni Unite nelle zone dove la fame è più intensa le scuole chiuse sono centinaia, 600 nella sola Etiopia, e dove non arriva l’educazione, arrivano però gli insegnamenti sbagliati degli islamisti. In preda alla disperazione la rabbia e l’aggressività dei giovani viene incanalata sulla strada sbagliata del terrorismo con nefaste conseguenze non solo per le vittime dei loro crimini orrendi, ma anche per loro stessi che si trovano con la vita distrutta.

Le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme per la situazione disastrosa che si sta creando nella regione del corno d’Africa e in Yemen: la penuria di cibo sta peggiorando e questo crea disordini e conflitti anche violenti che sfociano in migrazioni di massa e terrorismo internazionale e mettono così a rischio non solo le regioni interessate, ma tutto il mondo.

FINE TERZA PARTE
Il testo completo è stato suddiviso in più parti ed è il risultato di una ricerca durata otto mesi. Per eventuali inesattezze si rimanda ai testi originali indicati nelle fonti.

Fonti:

http://www.wikipedia.org
http://www.repubblica.it
http://www.mosaicodipace.it
http://www.unicef.it
http://www.avvenire.it
http://www.mediciperidirittiumani.org
http://www.mondoallarovescia.com
http://www.psicopolis.com
http://www.africanvoicess.wordpress.com
http://www.proteo.rdbcub.it
http://www.nigrizia.it
http://www.studiarapido.it
http://www.dirdidedolo.it
http://www.occhidellaguerra.it
http://www.reportdifesa.it
http://www.a-dif.org
http://www.reportafrica.it
http://www.africarivista.it
http://www.lindro.it

Chi non vuole lo sviluppo dell’Africa?

05 venerdì Mag 2017

Posted by Guido Guidotti in Diritti Umani

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Quest’anno ricorre il 30esimo anniversario dell’uccisione di Thomas Sankara. Tutti dovrebbero conoscere e rendere omaggio a questo leader e martire africano. Ecco una presentazione della sua opera come presidente del Burkina Faso ed il coraggioso e profetico discorso all’Organizzazione dell’Unità Africana tenutasi ad Addis-Abeba nel 1987 che ne causò l’omicidio.

Thomas Isidore Noël Sankara (nato a Yako, Alto Volta, 21 dicembre 1949) è stato un militare, politico e rivoluzionario burkinabè, un leader molto carismatico per tutta l’Africa Occidentale sub-sahariana. Cambiò il nome di Alto Volta in Burkina Faso, divenendone il primo presidente, e si impegnò molto per eliminare la povertà attraverso il taglio degli sprechi statali e la soppressione dei privilegi delle classi agiate. Finanziò un ampio sistema di riforme sociali incentrato sulla costruzione di scuole, ospedali e case per la gente più povera della popolazione, oltre a un’importante lotta alla desertificazione con la messa a dimora di milioni di alberi nel Sahel.

Il suo rifiuto di pagare il debito pubblico di epoca coloniale, insieme al tentativo di rendere il Burkina autosufficiente e libero da importazioni forzate, attirò le antipatie di Stati Uniti d’America, Francia e Inghilterra, oltre che di numerosi paesi circostanti. Questo sfociò nel colpo di Stato del 15 ottobre 1987, in cui all’età di 38 anni il giovane capitano Sankara fu assassinato dal proprio vice, Blaise Compaoré, con la complicità dei suddetti stati. Celebre soprattutto per il suo discorso all’Organizzazione dell’Unità Africana contro imperialismo e neocolonialismo.

Sankara aveva capito che il debito contratto con i Paesi del Nord era la nuova forma di colonialismo per tenere sotto scacco i PVS e non permettere loro sviluppo ed autonomia. Se a trenta anni di distanza l’Africa è ancora soffocata dal debito, offesa dalle guerre e costretta a rinunciare alle nuove generazioni che fuggono verso l’Europa in cerca di futuro, è responsabilità di chi ha voluto e vuole tenere l’Africa in schiavitù e non vuole riconoscere i suoi diritti e la sua legittima autodeterminazione.

In un discorso tenuto ad Addis Abeba, in Etiopia, Sankara suggerì l’istituzione di un nuovo fronte economico africano che si potesse contrapporre a quello europeo e statunitense. Inoltre cercò di convincere, invano, gli altri capi di Stato africani a rifiutarsi di saldare i debiti con gli Stati Uniti e i paesi europei, poiché era convinto che i soldi da restituire agli altri Stati non erano da rimborsare perchè potevano essere reinvestiti in riforme sanitarie e scolastiche.

“Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, i nostri creditori ci devono le più grandi ricchezze che non potranno mai ripagare: il debito del sangue. E’ il nostro sangue che è stato versato”, affermò Sankara nel suo discorso all’Organizzazione dell’Unità Africana pochi mesi prima del suo omicidio, intendendo per –Debito di sangue– il sangue africano versato per opera degli europei nei secoli dello schiavismo e del colonialismo, ma anche il più recente contributo dei popoli africani alla sconfitta del nazismo, contributo mai compensato, nè riconosciuto.

Sankara fece costruire la ferrovia del Sahel, che tuttora collega Burkina Faso e Niger, la principale arteria di comunicazione del Paese, successivamente ampliata. Fornì due pasti e cinque litri d’acqua al giorno a ciascun cittadino burkinabé, fornendo assistenza sanitaria e una massiccia campagna di vaccinazioni. Incentivò la ridistribuzione delle terre ai contadini, la soppressione delle imposte agricole e creò un Ministero dell’Acqua, con funzioni ecologiche.
Il programma politico di Sankara comprendeva soprattutto il miglioramento delle condizioni delle donne. Sankara assegnò a numerose donne il ruolo di ministro e le cariche militari, cosa rara in Africa. Le incoraggiò a ribellarsi al maschilismo e a rimanere a scuola in caso di gravidanza. Abolì la poligamia e vietò l’infibulazione, pratiche ampiamente diffuse e tollerate in tutta l’Africa. Importante fu l’attenzione dedicata alla prostituzione. Sankara riteneva importante non punire o incarcerare le prostitute come accadeva in molti paesi, ma aiutarle a evadere dalla situazione di schiavitù fisica in cui si trovavano, dando loro un’occupazione vera.
Sankara si fece fautore e promotore di una totale rottura con la tradizione, che vedeva i soldati e soprattutto le cariche dell’esercito in posizione di netto vantaggio rispetto al popolo. Una delle sue prime mosse fu quella di coinvolgere le caserme nella produzione agricola e industriale. L’addestramento militare, ridotto da 18 a 12 mesi, fu implementato a funzioni lavorative che occuparono ben 3/4 del tempo totale. Ad esempio, l’ordine prevedeva inizialmente la costruzione di pollai e l’allevamento di galli e galline. Il risultato non venne solo raggiunto ma ampiamente superato. Questo successo economico garantì un miglioramento delle condizioni alimentari, e un rilevante abbassamento dei prezzi nel mercato della carne bianca per la popolazione civile. Ci fu anche un grande incremento della coltivazione di patate, a tal punto da raggiungere la sovrapproduzione.

Per costruire dighe grazie a cui manovrare l’acqua di cui il Burkina aveva un disperato bisogno, i cantieri dovevano importare ferro e cemento dai paesi vicini, i quali però avevano cominciato a bloccarne la vendita per colpire economicamente un governo guardato male per le sue politiche liberiste e vicine al popolo. Sankara si concentrò molto in questa direzione mandando in missione informativa funzionari col compito di chiarire la posizione pacifica del paese, ma anche di informare che la persistenza di questi comportamenti sarebbe stata considerata un atto di ostilità.

Uno dei principali motivi di povertà del Burkina era appunto la dipendenza da importazioni estere. E per la maggior parte si trattava di prodotti inutili o sacrificabili, che aggiungevano solo debiti su debiti. Sankara promosse dunque una campagna antimaterialista per incentivare il popolo a essere orgoglioso di ciò che aveva, senza vergognarsi di mostrare al mondo che il Burkina era un paese povero.
Il Burkina Faso fu il primo paese africano a indire i tribunali popolari, chiamati Case del popolo, con una corte presieduta da un giudice di carriera, due giudici non professionisti, un militare e quattro membri dei Comitati di difesa della rivoluzione. La gente poteva recarsi ai processi presenziando come pubblico e partecipando al dibattito. Celebre fu il processo a Saye Zerbo, ex presidente dell’Alto Volta, per appropriazione indebita. L’enorme cifra, 427 milioni di franchi, era stata misteriosamente fatta sparire dai conti statali proprio durante il suo governo. Zerbo verrà condannato a 15 anni di prigione e al rimborso dell’intera cifra mediante confisca di beni e proprietà.

Lo sforzo di far partecipare tutti i burkinabé alla rivoluzione si concretizzò permettendo loro di entrare la mattina nei locali della radio nazionale per parlare in diretta, criticare e proporre idee. Fu sviluppato un circuito di radio rurali che diffondevano programmi di alfabetizzazione e divulgazione agricola.
Sankara dava grande importanza alla cooperazione internazionale, ma riteneva fosse da riformare. Criticò gli esperti di economia e i burocrati, unici veri ideatori nonché proponitori di strategie, che in cambio della consulenza agli stati si facevano pagare cifre d’oro, arrivando più volte a scontrarsi con potenze come gli Stati Uniti d’America. Quando l’ambasciatore americano “suggerì” a Sankara di non denunciare più le aggressioni in Centroamerica per evitare di inimicarsi Washington, il presidente rispose con un secco no. Durante la visita di François Mitterrand in Burkina Faso, Sankara lo accusò indirettamente, ma pubblicamente di aver permesso a un criminale come Pieter Willem Botha di aggirarsi liberamente in Francia. Questo incrinò definitivamente i rapporti, e Mitterand accentuò la sua già evidente antipatia per il giovane presidente.

Il capitano era consapevole di rischiare la vita ogni giorno a causa dei numerosi nemici che si era creato. Per questo motivo veniva protetto da strategie di copertura, come la segretezza dei suoi spostamenti o l’annunciazione del luogo delle riunioni solo due ore prima. Teneva sempre con sé tre pistole da usare in caso di pericolo e gli uomini della scorta cambiavano costantemente. I rischi erano concreti.

I risultati di quattro anni di Governo di Thomas Sankara:
• Vaccinati 2.500.000 bambini contro morbillo, febbre gialla, rosolia e tifo. L’Unicef stesso si complimentò con il governo.
• Creati Posti di salute primaria in tutti i villaggi del paese.
• Aumentati gli alfabetizzati.
• Realizzati 258 bacini d’acqua.
• Scavati 1.000 pozzi e avviate 302 trivellazioni.
• Stoccati 4 milioni di metri cubi contro 8,7 milioni di metri cubi di volume d’acqua.
• Realizzate 334 scuole, 284 dispensari-maternità, 78 farmacie, 25 magazzini di alimentazione e 3.000 alloggi.
• Creati l’Unione delle donne del Burkina (UFB), l’Unione nazionale degli anziani del Burkina (UNAB), l’Unione dei contadini del Burkina (UPB) e ovviamente i Comitati di difesa della rivoluzione (CDR), che seppur inizialmente registrarono alcuni casi di insurrezione divennero ben presto la colonna portante della vita sociale.
• Avviati programmi di trasporto pubblico (autobus).
• Combattuti il taglio abusivo degli alberi, gli incendi del sottobosco e la divagazione degli animali.
• Costruiti campi sportivi in quasi tutti i 7.000 villaggi del Burkina Faso.
• Soppressa la Capitazione e abbassate le tasse scolastiche da 10.000 a 4.000 franchi per la scuola primaria e da 85.000 a 45.000 per quella secondaria.
• Create unità e infrastrutture di trasformazione, stoccaggio e smaltimento di prodotti con una costruzione all’aeroporto per impostare un sistema di vasi comunicanti attraverso l’utilizzo di parte di residui agricoli per l’alimentazione.
Quasi tutte queste riforme, estremamente innovative per un paese africano degli anni ’80, furono annullate dal regime di Blaise Compaoré.
Thomas Sankara era un uomo estremamente carismatico, come hanno raccontato molti suoi amici e collaboratori. Uomo sempre gioioso ma al tempo stesso tenacemente determinato nel conseguimento degli obiettivi, aveva una grande umiltà. Detestava qualunque forma di ingiustizia sociale e si mosse sempre in questa direzione, esprimendo con estrema franchezza il proprio pensiero in ogni circostanza, senza mai perdere quel tocco di perspicace ironia che lo contraddistingueva e ne caratterizzava la genialità.

Frasi celebri di Thomas Sankara
• ¬« La rivoluzione è anche vivere nell’opulenza, vivere nella felicità. Ma opulenza e felicità per tutti, non solo per qualcuno »
• « L’imperialismo è un sistema di sfruttamento che si verifica non solo nella forma brutale di chi viene a conquistare il territorio con le armi. L’imperialismo avviene spesso in modi più sottili. Un prestito, l’aiuto alimentare, il ricatto. Stiamo combattendo questo sistema che permette a un pugno di uomini di governare l’intera specie »
• « Dobbiamo decolonizzare la nostra mentalità e raggiungere la felicità nei limiti del sacrificio che siamo disposti a fare. Dobbiamo far sì che la nostra gente sia disposta ad accettarsi per come è e a non vergognarsi della sua situazione reale »
• « La rivoluzione e la liberazione delle donne vanno di pari passo. Non parliamo di emancipazione delle donne come atto di carità o ondata di compassione umana. Si tratta di una necessità alla base della rivoluzione. Le donne reggono l’altra metà del cielo »
• « I nemici di un popolo sono coloro che lo tengono nell’ignoranza »
• « Mentre i rivoluzionari in quanto individui possono essere uccisi, nessuno può uccidere le idee »
• « Tutto ciò che l’uomo immagina, lo può creare »
• « La disuguaglianza può essere sconfitta attraverso la definizione di una nuova società, in cui gli uomini e le donne potranno godere di pari diritti, derivanti da uno sconvolgimento dei mezzi di produzione in tutti i rapporti sociali. Pertanto, la condizione delle donne migliorerà solo con l’eliminazione del sistema che le sfrutta »
• « Lo spirito è soffocato, per così dire, dall’ignoranza. Ma non appena l’ignoranza è distrutta, lo spirito risplende, come il sole privo di nuvole »
• « È possibile che a causa degli interessi che minaccio, a causa di quelli che certi ambienti chiamano il mio cattivo esempio, con l’aiuto di altri dirigenti pronti a vendersi la rivoluzione, potrei essere ammazzato da un momento all’altro. Ma i semi che abbiamo seminato in Burkina e nel mondo sono qui. Nessuno potrà mai estirparli. Germoglieranno e daranno frutti. Se mi ammazzano arriveranno migliaia di nuovi Sankara! »

Discours sur la dette – tenuto da Thomas Sankara nel 1987, ad Addis-Abeba, in Etiopia, all’Organizzazione dell’Unità Africana
“Signor presidente, signori capi delle delegazioni, vorrei che in questo istante potessimo parlare di quest’altra questione che ci preme: la questione del debito, la questione relativa alla situazione economica dell’Africa. Poiché questa, tanto quanto la pace, è una condizione importante della nostra sopravvivenza (…)
Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici, anzi dovremmo invece dire «assassini tecnici». Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei «finanziatori». Un termine che si impiega ogni giorno come se ci fossero degli uomini che solo «sbadigliando» possono creare lo sviluppo degli altri [gioco di parole in francese sbadigliatore/finanziatore, bâillement/bailleurs de fonds]. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquant’anni, sessant’anni anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e più.
Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscan o a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso. Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore. Signor presidente, abbiamo prima ascoltato e applaudito il primo ministro della Norvegia intervenuta qui. Ha detto, lei che è un’europea, che il debito non può essere rimborsato tutto. Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri. Invece se paghiamo, saremo noi a morire, ne siamo ugualmente sicuri. Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun problema ; ora che perdono al gioco esigono il rimborso. E si parla di crisi. No, Signor presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua.
Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare : il debito del sangue. E’ il nostro sangue che è stato versato. Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica. Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate. Chi ha salvato l’Europa ? E’ stata l’Africa. Se ne parla molto poco. Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato. Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo. Il debito è anche conseguenza degli scontri.
Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore. Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi individui. C’è crisi perché pochi individui depositano nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa intera. C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali che hanno nomi e cognomi, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassi fondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro una Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario. Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari. No ! Non possiamo essere complici. No ! Non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine.
Signor presidente, sentiamo parlare di club – club di Roma, club di Parigi, club di dappertutto. Sentiamo parlare del Gruppo dei cinque, dei sette, del Gruppo dei dieci, forse del Gruppo dei cento o che so io. E’ normale allora che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo. Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba. Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba contro il debito. E’ solo così che potremo dire oggi che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma al contrario intenzioni fraterne. Del resto le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune. Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato. Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano.

Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano, e di perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare. Noi dobbiamo dire al contrario che oggi è normale si preferisca riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi. Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per sopravvivere e per necessità. I ricchi, sono quelli che rubano al fisco, alle dogane. Sono quelli che sfruttano il popolo. Signor presidente, non è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe qui che il debito fosse semplicemente cancellato ? Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare dritti alla Banca Mondiale a pagare! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da «giovani», senza maturità e esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un fatto dovuto.
E posso citare tra quelli che dicono di non pagare il debito dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani. Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare.
Non ha la mia età, anche se è un rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand che ha detto che i Paesi africani non possono pagare, i paesi poveri non possono pagare. Posso citare la signora Primo Ministro di Norvegia. Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo. È solo un esempio. Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny. Non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente che quanto al suo Paese, la Costa d’Avorio, non può pagare. Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio in Africa, almeno nell’Africa francofona. Ed è per questo d’altronde normale che paghi un contributo maggiore qui… Signor Presidente, la mia non è quindi una provocazione. Vorrei che molto saggiamente lei ci offrisse delle soluzioni. Vorrei che la nostra conferenza adottasse la risoluzione di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso, bellico. Questo per evitare di farci assassinare individualmente. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza ! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo consacrare le nostre magre risorse al nostro sviluppo.
E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma è contro un africano. Non contro un europeo, non contro un asiatico. E’ contro un africano. Perciò dobbiamo, anche sulla scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi. Sono militare e porto un’arma. Ma signor presidente, vorrei che ci disarmassimo. Perché io porto l’unica arma che possiedo.

kobane3Altri hanno nascosto le armi che pure portano. Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra. Potremo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa, perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prendere la tecnologia e la scienza in ogni luogo dove si trovano.
Signor presidente, facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito. Facciamo in modo che a partire da Addis Abeba decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri. I manganelli e i macete che compriamo sono inutili. Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo.Il Burkina Faso è venuto a mostrare qui la cotonnade, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. La mia delegazione ed io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America. Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. E’ il solo modo di vivere liberi e degni.” Continua a leggere →

VERGOGNA E DISONORE

19 venerdì Ago 2016

Posted by Guido Guidotti in Diritti Umani

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bimbo siriano in autoambulanza

 

Vergogna e disonore a chi ha proscugato le lacrime di questo bimbo.

 

 

Vergogna e disonore a chi si fa giustizia con le bombe.

Vergogna e disonore a chi fabbrica le bombe.

Vergogna e disonore a chi le finanzia, le esporta e le utilizza.

Vergogna e disonore all’uomo che si fa bestia e persevera senza imparare.

Ti abbraccio forte bimbo mio!

Il debito sospeso dei partigiani cattolici modenesi

25 mercoledì Mag 2016

Posted by Guido Guidotti in Diritti Umani

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Giovedi 19 maggio 2016, in parrocchia alla BVA, ho visto il documentario di Giulia Bondi sui partigiani cattolici modenesi: “Era tutto molto naturale”. La sala era piena. C’erano più persone del previsto, circa un centinaio. Nel documentario si alternavano le brevi testimonianze dei protagonisti di quegli anni di guerra, dall’8 settembre 1943 al 22 aprile 1945. Venti mesi di lotta clandestina, sofferenza e amicizia, con al collo un fazzoletto tricolore.

era tutto molto naturale gruppo partigiano Brigata Italia

 

 

 

 

 

Alcuni partigiani della Brigata Italia raccontano settant’anni dopo, la loro Resistenza quando, come tanti altri giovani, spontaneamente sentono l’esigenza di rifugiarsi in montagna e di avviare dei piccoli gruppi di Resistenza antifascista. Non eroi, ma ragazzi come tanti che, come dice una protagonista, nonostante la lontananza dalla famiglia ed i tempi duri, vivevano quell’avventura ricordando come “era tutto molto naturale”.

Ma naturale non vuol dire di poco valore. La Resistenza italiana è stata molto importante, con le sue luci e le sue ombre, i suoi limiti ed i suoi eccessi. L’appartenenza alla propria famiglia, al proprio paese, alla propria comunità ed alla propria nazione diventavano un valore, un rifugio, un ideale per tutti. Sfortunati o fortunati. Per i sopravvissuti alla fame, agli spari, alle retate, alla disperazione… così come per quelli che poi non ce l’hanno fatta.

Anni tragici che hanno rubato il futuro a tante persone, ma che hanno reso la gente più vera, più buona o più cattiva. Più fraterna o più insensibile. Questo documentario mi ha ricordato e reso tangibile quanto hanno fatto per noi i nostri padri e non di meno, le nostre madri. Di come dovremmo riconoscere il valore di ciò che ci hanno donato, di ciò che hanno conquistato con sacrificio e che non è giusto ritenerlo scontato o dovuto.

La libertà, la democrazia, la pace, l’istruzione, il voto ed i diritti di cui tutti noi oggi godiamo, sono frutto certamente di un lungo cammino di civiltà, ma anche dei loro sacrifici, del loro senso del bene comune, dell’impegno a lottare contro l’ingiustizia e la dittatura e del desiderio di riconquistare la libertà e la pace. Pertanto chi ha ricevuto tanto oggi dovrebbe sentirsi debitore e grato a chi ha lottato per il nostro benessere, per il nostro futuro. Ritenersi gli unici artefici delle nostre fortune è limitativo, sbagliato e profondamente egoista.

Chi tanto ha ricevuto, tanto dovrebbe rendere. Come hanno fatto i nostri padri verso gli italiani del futuro che eravamo noi, altrettanto dovremmo fare noi verso chi c’è e chi verrà. Non come un gesto di magnanimità, ma come un debito sospeso che va saldato. Un debito che è solo morale, ma non per questo meno dovuto.

Il notaio, il dentista, il primario, il calciatore, il politico, l’AD della Banca, l’industriale, il professionista o il semplice impiegato ed profughi e carri armatioperaio, ciascuno secondo le proprie possibilità, tutti dovremmo sentirci debitori. Ora che c’è un popolo variegato che bussa alle nostre porte, non perché incapace di gestire le proprie fortune, ma perché depredato delle proprie risorse, della propria libertà, della pace, dei propri affetti. Un popolo che abbiamo costretto noi ad emigrare perché abbiamo intossicato il mondo di armi, invaso casa loro e reso loro la vita impossibile. Così inizia la loro Resistenza per la sopravvivenza, a testa bassa, come di chi sa di non aver altra speranza se non quella di scappare via. E’ un unico popolo indistinto che merita una chance, merita la nostra amicizia, merita le nostre scuse più che la nostra tolleranza.

È un debito che abbiamo. Un popolo che rinnega le proprie radici non ha futuro. Chi rinnega la nostra storia di migranti, distrugge il senso di comunità e ci rende individualmente egoisti. Una nazione di aggregati, non più popolo. E’ lbb’accoglienza, la capacità di lottare per il bene comune, di integrarci con lo straniero che ci fa nazione, popolo. Chi crede ancora alla bugia che gli extracomunitari ci rubano il posto di lavoro, è un ingenuo. Ci sono migliaia e migliaia di italiani privilegiati, spesso senza alcun merito ed una classe politica che sonnecchia, pronta solo a difendere strenuamente i propri privilegi.

Dobbiamo riappropriarci del senso di comunità. Dobbiamo fare fronte comune verso le ingiustizie e non schierarci per fazioni e combattere una stupida guerra fra poveri.

Che i testimoni della Resistenza possano ispirarci a combattere la giusta battaglia. Per il diritto, per il bene comune, per lasciare ai nostri figli un mondo migliore, più giusto e solidale.

Riferimenti web:

https://brigataitalia.wordpress.com/

Ci prendono per il Quorum

18 lunedì Apr 2016

Posted by Guido Guidotti in Diritti Umani

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ci prendono per il quorum Al Referendum sulle Trivellazioni valgono più il 14 % dei NO che l’86 % dei SI, grazie al Quorum imposto al 50% degli aventi diritto. Uno schiaffo alla Democrazia!

Nelle elezioni europee del 2014 i votanti in Italia sono stati 28.991.258, pari al 57,22% dei 50.662.460 elettori aventi diritto. Se si volesse stabilire un Quorum reale del 50% si dovrebbe relativizzarlo agli elettori reali, non a quelli immaginari. Ovvero si dovrebbe proporzionare il Quorum al 50 % dei quasi 29 milioni di elettori che si sono recati alle urne nell’ultima consultazione elettorale. Cioè il 28,61 % degli aventi diritto.

Così la Consultazione Referendaria sulle Trivellazioni (31,18%) avrebbe raggiunto il Quorum ed avrebbe trionfato la Democrazia invece che la Burocrazia della casta parlamentare.

referendum trivellazioni

Figli di un dio cattivo

28 lunedì Mar 2016

Posted by Guido Guidotti in Diritti Umani

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guerra12

Come contrastare il terrorismo

Quando la vita non ti prospetta nè presente nè futuro. Quando non puoi proteggere nè affetti nè beni essenziali. Quando il Dio che credevi di amare sta sempre con la parte avversa e ti senti solo, abbandonato, senza vie d’uscita. Quando non ti resta nulla da difendere se non un’idea delirante, allora si può anche credere che ci sia un dio che voglia la tua morte e quella degli altri. In una povertà primordiale, in un deserto culturale artificialmente costruito, è facile seminare un’idea di riscatto. Qualunque idea potrebbe attecchire. Il terrorismo che si propaga tramite giovani ragazzi suicidi è sicuramente un progetto costruito da menti folli, ma coscienti di ciò che stanno facendo.

Ma noi che risposta pensiamo di dare? Non ha senso combattere il terrorismo con le bombe. Alzare muri, proteggersi col filo spinato, schierare gli agenti e moltiplicare i metal detector? Quanta fatica sprecata: una parola di accoglienza, di tolleranza, di fraternità, sarebbe più efficace.

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È come se ci armassimo da Rambo e cominciassimo a sparare ad ogni ombra per la missione esagerata di uccidere una mosca fastidiosa. Faremmo certamente più danni che utile, quando bastava semplicemente aprire la finestra e farla uscire.

Noi occidentali siamo così, incapaci di vestire i panni altrui. Pensiamo di essere in grado di esportare la democrazia, quando basterebbe esportare un poco di amore, di rispetto, di sapore della vita. Ed invece andiamo a casa altrui con una scusa, entriamo senza essere stati invitati e ci restiamo fin quando decidiamo noi. Ci sistemiamo come un dio che ha potere di vita e di morte su ogni essere vivente. Non coltiviamo, non facciamo strade, ponti, supermercati. Siamo lì per controllare i nostri interessi ed intanto decidiamo chi deve vivere e chi deve morire. Poi ci lamentiamo del terrorismo?

Le problematiche del Medio Oriente non si risolvono con le bombe, ma solo con l’amore. Se esportassimo quanto è necessario per avere appena una vita che valga la pena di essere vissuta, avremmo già distrutto l’ISIS.

PACE_ARABA_ALTA_OKP.S. (spiegazione): “dio”  l’ho scritto in minuscolo non per mancanza di rispetto, ma perché intendo riferirmi a quelle “altre entità” che si comportano come un dio onnipotente e cattivo. Penso a quella gente semplice che in Medio Oriente come in tante altre parti del mondo, sopravvive con poco e poche pretese. Poi un giorno vede arrivare da lontano degli stranieri quasi onnipotenti. Persone che non condividono la propria ricchezza e potere, ma che in pochi secondi possono fare il processo a dei semplici civili del posto e decidere chi uccidere e chi lasciar vivere. Poco importa se poi, come spesso è accaduto, non si colpiscono dei terroristi, ma dei padri che accompagnano i figli a scuola o un corteo funebre o un corteo nuziale. Poco importa se l’errore è un errore per davvero o se quelle persone sono morte per un gioco crudele e insensato tipo videogame. Sono persone che di fatto, per la divisa che portano, sono ingiustificatamente immuni da responsabilità e colpe.

Se poi nascono in queste popolazioni risentimenti tali da credere che un dio voglia la propria morte e quella di altre persone innocenti, è perché tanti hanno visto solo la faccia cattiva di dio. Hanno visto solo la faccia di chi ha usurpato il ruolo di Dio e decide della vita e della morte di ognuno. Forse quelli dell’ISIS non hanno mai visto la faccia di un Dio misericordioso e buono. Di qui il bisogno di cambiare strategia. Non si può combattere il fuoco col fuoco. Occorre l’acqua. Non si può vincere il terrorismo col terrore. Ma si può con l’amore.

Togliamo le motivazioni all’ISIS, ma anche ai fabbricanti di armi che perseguono la guerra infinita. Un business enorme che sembra intoccabile. Pensiamo però a quanti business soffoca nel Mondo. Pensiamo ad un mondo libero ideologicamente dall’uso delle armi. Africa, Asia, Oceania ed anche Europa e America che, pian piano, senza schiavi e padroni, costruiscono o ricostruiscono un benessere per tanti. Non sarebbe un Business cento o mille volte maggiore di quello delle armi?

Quanto a me, ritornando al titolo, non voglio assolutamente propormi in senso agnostico. Anzi voglio ben distinguere chi crede e vive di valori cristiani sinceri che illuminano il sentiero e chi invece assume l’etichetta di cristiano solo per comodo e per utilizzarla a copertura delle proprie bassezze. Confortato finalmente da una Chiesa che, guidata dal suo Pastore, si espone non solo con parole appropriate, ma anche con esempi e opere.

Omicidio Varani, c’è bisogno di una Legge sul reato di tortura

10 giovedì Mar 2016

Posted by Guido Guidotti in Diritti Umani

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E’ impensabile che oggigiorno accadano queste cose: “Volevamo vedere l’effetto che fa.” – confessa Manuel uno dei ragazzi assassini. Ma che deserto mentale c’è dietro a questa frase? Nessuno se ne era mai accorto? Ma sì, ora si scopre che appena un mese fa, fra le mani degli stessi due soggetti, un’altro ragazzo ha rischiato di fare la stessa fine. Salvato solo per l’intervento della madre della vittima che, preoccupata per la sparizione del figlio, si era adoperata a cercarlo presso tutti gli amici. L’unico che non rispondeva era Marco da qui la decisione di rivolgersi ai carabinieri. Il ragazzo veniva così trovato presso l’amico, drogato e gonfio di botte. Salvato in extremis. Partiva la denuncia poi misteriosamente ritirata e tutto finiva lì. Ma non è un crimine sequestrare una persona e ridurla in fin di vita? Non è un fatto punibile? Ma allora il morto proprio lo cercate! È proprio una malattia, non di un qualche ragazzo sbagliato, ma del sistema.

Quali autorità possono lasciare a piede libero delle persone ad alta pericolosità sociale, senza alcun provvedimento! Due che avevano sequestrato un ragazzo, lo stavano massacrando di botte ed erano stati colti in flagranza di reato! Vedremo se la nuova legge sulla responsabilità dei magistrati funziona. Purtroppo è previsto solo un risarcimento economico. Nell’ordinamento giuridico italiano, a differenza di quanto avviene in Germania e Francia, non è prevista una disciplina ad hoc sulla responsabilità penale dei magistrati.

Ma quando un atto di malagiustizia provoca, per conseguenza diretta, la morte di un innocente, perchè la legge prevede solo con un risarcimento economico? Quando è evidente che sia stato insensato lasciare a piede libero una persona ad alta pericolosità sociale e poi in conseguenza a questa scelta, succede il dramma, ma non si tratta di concorso di colpa? Uno, solo perchè è Magistrato può fare sempre il cazzo che gli pare? No, non è giusto. Se c’è responsabilità è giusto che sia remunerato adeguatamente. Ma chi sbaglia in maniera evidente deve risponderne in pieno titolo e sollecitamente. Essere una autorità pubblica non deve essere una giustificazione, ma un aggravante.

Poi quando un’autorità come la Polizia, i Carabinieri o gli infermieri per un T.S.O. intervengono su un soggetto per garantire la sicurezza pubblica, non è assolutamente giustificabile che, in conseguenza di questo intervento, dopo poche ore il cittadino venga dichiarato morto. Un’autorità che prende in custodia un cittadino deve garantirgli tutti i diritti ed custodirlo con giudizio. Se ciò non accade, ogni soggetto che abbia partecipato in forma attiva o passiva deve essere rimosso dal servizio e punito in conseguenza dei fatti. Chi insabbia come chi tace, si rende complice e non può avere giustificazioni. Pertanto è assurdo il gioco di squadra a difendere i colleghi macchiatisi di tali colpe.

É come se una tifoseria di una nota squadra di calcio prendesse abitudine, di quando in quando, a mettere a soqquadro la città ospite della gara. Poi di fronte ad uno scempio ingiustificabile, i dirigenti, invece che condannare senza se e senza ma, minimezzassero le responsabilità e le colpe. Sarebbe un autogol inscusabile. Di li a poco gli stessi atleti prenderebbero in odio la propria squadra. Se al cittadino si chiede giustamente di rispettare l’integrità della vita e del patrimonio altrui, maggiormente dovrebbero rispettarle e risponderne ogni autorità pubblica.

Solo ieri 9 marzo 2016 la trasmissione Le Iene ha trasmesso la testimonianza volontaria di una ex guardia carceraria che confessava i soprusi, le violenze gratuite, le torture di piccoli gruppi di carcerieri che si divertivano a vessare costantemente alcuni carcerati con una crudeltà inimmaginabile. Testimonia addirittura di aver concorso a far morire di fame un detenuto. Uno che, in attesa di giudizio, sarà poi dichiarato innocente. Non è giusto che queste persone sporchino la reputazione e la dedizione paziente di migliaia di altre guardie carcerarie. Non è giusto proteggere questi criminali. Soprattutto quando indossano una divisa che rappresenta lo Stato.

“SENTINELLE IN PIEDI”, assurdo: vegliate la stalla vuota!

27 mercoledì Gen 2016

Posted by Guido Guidotti in Diritti Umani

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Moralisti imperturbabili, cattolici vecchio stampo, vegliate, vegliate, che nessuno possa togliervi la certezza e la consolazione di assistere la Famiglia al suo capezzale!

Che i ciechi possano ergersi a guida dei popoli è un assurdo che è solito ripetersi senza dar scandalo ai più. “Sentinelle in Piedi” che pensano di difendere la famiglia vegliando la stalla quando i buoi sono già scappati. Che è rimasto alla famiglia oggi? Appena poche briciole. Occorrerebbe far fronte comune nel rivendicare i diritti della famiglia: l’istruzione per tutti, lo sport per tutti, una casa per tutti, un lavoro per tutti, un futuro per tutti, salute per tutti, credito per tutti e così via. Ma che accade? Invece di unirci, competiamo per l’esclusiva. “A noi solamente spettano i diritti della sopravvivenza!” Così come avviene con gli extracomunitari ed i migranti: “C’è spazio solo per noi italiani, indietro lo straniero!” Non spartizione più equa e stop ai privilegi. No! Benissimo i privilegi, ma solo se anche noi, in qualche forma, possiamo sentirci privilegiati rispetto ad altri!

le famiglieAnche l’intervento del Card. Bagnasco non appare molto centrato in merito alla virtù teologale della carità cristiana. Vorrei chiedergli se abbia idea, nella sua famiglia tradizionale composta esclusivamente da un papà ed una mamma eterosessuali, cosa avviene quando un vento irrispettoso ne spariglia le carte? Quando, come sempre più spesso accade, i due coniugi si separano, oppure uno dei due muore. Così i bambini rimangono senza uno dei due genitori di riferimento. La famiglia tradizionale non c’è più. Mancano i canoni educativi base per l’educazione dei figli. Dovremmo quindi togliere i figli a questa madre o questo padre che ha già subito un trauma per la separazione o il lutto? Oppure dargli un tempo massimo entro il quale trovarsi un rimpiazzo per ricostituire la famiglia tradizionale? Assurdo. Assurdo come negare, in merito alla carità evangelica, che una famiglia di forme differenti dal canone base, possa avere parimenti diritti, compreso quello di educare e crescere i figli.

Comunque mi chiedo perché mai queste “Sentinelle in Piedi” non abbiano mai rilevato l’incongruenza di non aver mai contestato la patria potestà a certi individui di dubbia moralità. Logicamente non mi riferisco ai gay, ma ai delinquenti comuni, mafiosi, ladri ed assassini. Perché questi possono costituire una famiglia e crescere ed educare figli ed i gay no? Potesse scegliere un figlio o una figlia preferirebbe genitori mafiosi o genitori gay? Se non ve lo siete mai chiesto, fatelo! Potrebbero crollare in un attimo tutte le vostre certezze. Oppure, nel peggior oscurantismo medioevale, farete spallucce a queste riflessioni e continuerete insensatamente a dire: “i gay non possono avere diritti…”?

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